Quando Buddha diventò cristiano
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Un re indiano tiene rinchiuso dalla nascita il suo unico figlio (di nome Josafat, o Ioasaf, secondo le versioni della storia) in un palazzo, per evitare che egli venga a contatto con la sofferenza, la vecchiaia e la morte. Un giorno, però, il giovane ottiene finalmente il permesso di lasciare la reggia, e si imbatte in un lebbroso e in un cieco. Durante una seconda uscita, poi, incontra un vecchio, curvo sulle gambe malferme, sdentato, la voce tremante; gli accompagnatori del principe gli spiegano allora che nessuno può sfuggire alla vecchiaia e che tutti, alla fine, devono morire. A questo punto egli si apparta, angosciato e pensoso, finché non gli appare un santo eremita, Barlaam, che gli dischiude una più alta visione dell’esistenza, quella testimoniata nel Vangelo. Non vi ricorda nulla, questo racconto? Se si fa eccezione per la conversione al cristianesimo del protagonista, la vicenda che abbiamo appena riassunto assomiglia straordinariamente a quella di Siddhartha Gautama, il Buddha, nel periodo precedente il suo «risveglio» e l’inizio della predicazione; e, in effetti, la leggenda cristiana «dei Santi Barlaam e Josafat» rimanda attraverso una lunga serie di traduzioni e riscritture – dall’India all’Iran, dalla Georgia a Costantinopoli – a un originale buddhista: man mano che ci si sposta verso Oriente, Josafat diviene un sufi islamico o un asceta manicheo, e il suo nome cambia in Budasaf o in Bodisav, per arrivare alla forma sanscrita originaria «Bodhisattva» («Colui che ha conseguito l’illuminazione»: uno degli appellativi tradizionali, appunto, del Buddha). Allo stesso modo, ha conosciuto un’enorme fortuna uno dei «racconti nel racconto» narrati dall’eremita Barlaam a Josafat, per indurlo a riflettere sulla precarietà della vita terrena: vi si narra il caso di un uomo che, caduto in un burrone, incomincia a gustare il miele che stilla dai rami di un arbusto, incurante del drago che, più sotto, si appresta a divorarlo (tra le molte raffigurazioni di questo tema, è celebre l’«Allegoria della vita» scolpita da Benedetto Antelami nella lunetta del portale meridionale del Battistero di Parma). La vita bizantina del Buddha «Storia di Barlaam e Ioasaf. La Vita bizantina del Buddha» (Einaudi, pp. CXXIV-314, 35 euro) è il titolo di uno splendido volume curato dai bizantinisti Paolo Cesaretti, docente dell’Università di Bergamo, e Silvia Ronchey, dell’Università di Roma Tre, che sarà presentato presso la Fiera dei Librai oggi alle 16, in un incontro compreso nel calendario di UniBergamoRete, a cui prenderanno parte lo stesso Cesaretti, il latinista Francesco Lo Monaco e Giovanna Parravicini della Fondazione Russia Cristiana. Il libro comprende la versione integrale di una «vita di Barlaam e Ioasaf» redatta da Eutimio, un monaco georgiano del Monte Athos, a cavallo dell’anno Mille: a partire da questa prima trasposizione nella letteratura bizantina dell’originario modello buddhista, «la storia del bodhisattva Ioasaf sarà uno dei libri più diffusi del medioevo globale», scrive Silvia Ronchey nell’ampio saggio introduttivo al testo, proposto in una nuova edizione rivista rispetto a quella pubblicata da Rusconi nel 1980. «Undici secoli di storia di Bisanzio – ci spiega la Ronchey – smentiscono il pregiudizio per cui l’Europa avrebbe avuto una storia autonoma, contrapposta a quella dell’Asia. L’impero bizantino rappresentò, per così dire, un grande mulino, in cui si mescolavano lingue, culture, religioni. È anche significativo che, dopo la dissoluzione dei due grandi imperi eredi di Bisanzio, quello turco e quello russo – considerando pure la sua versione "sovietica" – le aree dei Balcani, del Caucaso e del Medio Oriente siano divenute teatro di conflitti etnici sanguinosi». «A confutare l’ideologia corrente dello "scontro di civiltà" – prosegue la storica –, dobbiamo constatare che tra l’Europa e l’Asia si sono prodotti fecondi incontri di popoli e di culture. Gli scambi sono avvenuti in entrambe le direzioni. Pensiamo all’arte sviluppatasi negli attuali Pakistan e Afghanistan dopo che queste regioni furono conquistate dall’esercito di Alessandro Magno: nello stile Gandhara i temi buddhisti si mescolavano con motivi tipici della statuaria greca». La «fecondità» di una storia Paolo Cesaretti, da parte sua, si sofferma sui motivi della straordinaria «fecondità» della storia di Barlaam e di Ioasaf, in contesti culturali così diversi: «Che una fiaba sia produttiva di sempre nuove riprese e riscritture – egli afferma – non deve stupire. Nessun romanzo, nemmeno il più riuscito, può avere lo spettro di risonanza proprio delle narrazioni mitiche e fiabesche, che si svolgono di necessità in un "al di là" del tempo e dello spazio. Il loro "c’era una volta" va inteso come un "c’è, c’è stato, ci sarà"; e non "qui" o "lì", ma ovunque. Con il suo Palazzo incantato, con la figura del Padre che pone un divieto, con il figlio che lo trasgredisce, e così facendo scopre se stesso e il mondo, la storia del Buddha offre una struttura fiabesca perfetta, tale da poter sostenere infinite variazioni». «Quanto all’apologo del viandante caduto nel burrone – prosegue Cesaretti –, il testo bizantino interpreta l’elemento del miele gustato dall’uomo come il simbolo dell’"inganno della vita presente", ovvero dei piaceri sensuali, che ci distoglierebbero dal pensiero della morte e dell’aldilà. Altrove però si proposero letture diverse, per esempio nella tradizione dello zen giapponese, dove saper concentrarsi sulla dolcezza del miele, nonostante la situazione – o forse proprio data la situazione di pericolo –, è indice di sapienza, della capacità di mantenersi liberi da ogni condizionamento per vivere appieno l’attimo presente».