Romanoffs, tragici e maledetti proprio come noi
Cose Serie
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La bontà di una serie, a differenza di quella di un film, è determinata dal suo scrittore infinitamente più che dal suo o dai suoi registi. Sia che derivi da un romanzo d’autore, come la memorabile Alias Grace, basata sul romanzo di Margaret Atwood e da due anni inestirpabilmente vitale su Netflix, sia che lo scrittore presti espressamente la sua penna alla sceneggiatura, come ha fatto il grande Julian Fellowes, già autore di Gosford Park, per Downton Abbey, la serie televisiva è un prodotto eminentemente letterario: è agli scrittori di serie che sempre più il ventunesimo secolo affida la sua capacità di narrare sé stesso, la scelta degli argomenti su cui riflettere, l’innovazione delle sue strutture narrative.
La miniserie The Romanoffs, da non molto disponibile su Prime Video con doppiaggio italiano per chi l’avesse persa in versione originale lo scorso autunno, è un esempio di ottima scrittura letteraria, firmata da Matthew Weiner, l’autore del geniale Mad Men. Contrariamente a quanto il titolo potrebbe far credere, non si tratta di una serie storica dedicata all’ultima dinastia degli zar. E’ invece un’antologia di otto storie contemporanee ambientate in diversi distretti del mondo (da Parigi a New York, da un treno per Londra ai boschi dell’Austria, da Città del Messico alla scabra Vladivostock in cui si svolge, cupo omaggio alle origini, l’ultimo desolato episodio) e legate da un filo sottile, quasi impercettibile.
Esternamente, ad accomunare i personaggi è il loro vario e spesso remoto legame con la famiglia imperiale russa sterminata nella Casa Ipat’ev di Ekaterinburg da un commando della polizia segreta bolscevica nella notte tra il 16 e il 17 luglio del 1917. Ed è questo bagno di sangue, scandito da dure note rock, a fare da sigla a ciascuno degli episodi. Ma, a un livello più profondo, ad accomunare le diverse storie è lo scarto tragico tra chi i protagonisti sono e chi credono o dicono di essere.
Tragico, perché nessuna di queste storie è lieta e anche gli apparenti happy end lasciano lo spettatore turbato. Così come è tragica, o tragicomica, la ricerca di connessione con una propria radice vera o presunta, vana in sé e non solo in quanto identificazione con un residuo storico che la storia ha spazzato via. Lo sradicamento e lo spaesamento dell’essere umano contemporaneo, questo è il tema dei Romanoffs, di cui i Romanov stessi sono solo il volutamente labile pretesto.
La loro leggendaria maledizione, che aleggia ironica sull’intero script, è quella di tutti noi, quando ci illudiamo di essere quello che non siamo.
The Romanoffs, Prime Video