La Piazza dei cavalli, il simbolo insanguinato; qui i massacri hanno segnato la storia
Nell’antico Ippodromo di Costantinopoli, l’ 11 gennaio del 532, la rivolta “Nika” provocò una strage. Nel 1826 quella dei Giannizzeri. E nel 1909, un’altra sollevazione
Articolo disponibile in PDF
Dentro la bomba che nell’at-Meydani — la “piazza dei cavalli”, l’antico Ippodromo di Costantinopoli — ha squarciato il cuore bizantino di Istanbul c’è una precisa, impressionante orologeria. Una coincidenza di date così esatta da potersi difficilmente considerare fortuita ricollega l’attacco kamikaze accanto all’obelisco di Tutmosi III — noto come obelisco di Teodosio per il basamento marmoreo i cui fregi rappresentano l’imperatore e la sua corte — alla strage più sanguinosa di tutta la storia dell’antica capitale dell’impero romano d’oriente. Scoppiata in quel preciso luogo quasi 1500 anni fa, l’11 gennaio 532, quella che da allora prese il nome di rivolta Nika mirava, al grido di ‘nika! nika!’ (‘vittoria! vittoria!), a rovesciare l’autocrate Giustiniano, colpevole di un imperialismo militarista troppo ambizioso e di un’ambigua politica religiosa. Da allora in poi l’oblunga spianata dell’Ippodromo — che si disegna nell’area archeologica del Sacro Palazzo tra la grande Santa Sofia, fronteggiata dopo la conquista ottomana dalla moschea di Sultanahmet, e la chiesa di San Sergio e Bacco o “piccola Santa Sofia” — continuò a magnetizzare su di sé la protesta contro il potere assoluto. Cospirava in parte la sua destinazione a sede privilegiata del rapporto diretto tra l’autocrate e il popolo. D’altra parte, e proprio per questo, l’Ippodromo era un vero e proprio luogo sacro. Vi si allineavano simboli monumentali di abissale e perfetta carismaticità: oltre all’obelisco egizio di Teodosio, la Colonna Serpentina del tripode di Delfi e il cosiddetto Colosso, la Piramide Murata di Costantino VII Porfirogenito. L’at-Meydani fu teatro di terribili scontri politici anche in epoca ottomana. Lì ebbero luogo, molti secoli dopo quella contro Giustiniano, le altrettanto sanguinarie rivolte dei giannizzeri, che videro alla fine la strage e l’estinzione del corpo scelto dell’esercito del sultano, formato in origine da occidentali di origini cristiane e obbedienza sincretica sufista. Se la rivolta Nika fu descritta da Procopio, quella dei giannizzeri nel 1826, al suono delle marmitte rovesciate e percosse secondo un’antica tradizione di protesta, è stata immortalata dalla penna, fra gli altri, di Lamartine. Anche in quel caso si voleva colpire un autocrate esasperatamente assoluto, Mahmut II, sultano dell’impero ottomano e califfo dell’islam. Fu nell’Ippodromo che nel 1909 scoppiò la rivolta che portò alla deposizione di Abd ul-Hamid II e al governo dei cosiddetti Giovani Turchi. Nel gesto del kamikaze che si è fatto esplodere nell’at-Meydani a colpire ancora è il lato oscuro della forza della storia in agguato. Una tessitura simbolica deliberata o involontaria ricorre puntuale in tutti i gesti di eversione mortifera dell’odierno terrorismo islamico. Chi li ordisce palesa la trama di quell’insieme di eventi e di simboli che chiamiamo passato e che nell’orrore è insieme distrutto e risuscitato. Nell’eterno ritorno dei luoghi dello spazio e del tempo che la storia ha reso sacrali si consuma il sacrificio degli orientali e degli occidentali.