L'autunno del Medio Oriente
Aspettando il Rinascimento che questa volta arriverà da est
14/08/2017 Silvia Ronchey
La Repubblica
Davanti a un ordine politico ormai messo in crisi dagli eventi, forse è nella Storia che possiamo trovare risposta a tanti interrogativi Quando è cominciata davvero la distinzione tra i due blocchi del mondo? E che influenza ha avuto la caduta di Costantinopoli su quanto stiamo vivendo oggi? Ecco il confronto tra Silvia Ronchey e Franco Cardini.
R. “L’autunno del Medio Oriente”: ti piace questo titolo, ovviamente tratto da quello del famoso libro di Huizinga su “L’autunno del Medio Evo”? Huizinga raccontava la fase storica in cui il Medio Evo stava per cedere il passo al cosiddetto Rinascimento. Non ti sembra che anche oggi siamo in una fase storica di transizione? Non necessariamente alla vigilia di una nuova Rinascenza, ma certo dinanzi allo sbriciolamento di un ordine politico occidentale superato da fatti, che gli storici del presente cercano di interpretare, ma senza riuscirci, forse perché spesso non conoscono o non tengono presente il passato?
C. Come il problema di Huizinga in fondo non è l’autunno del Medio Evo ma la crisi del primo dopoguerra, così per noi l’autunno del Medio Oriente è in realtà la coscienza della crisi dell’assetto che ci ha portato a chiamarlo così, con una definizione tanto convenzionale quanto quella di Medio Evo. L’assetto dato a quell’area dai vincitori della Prima Guerra Mondiale era, come tutto, provvisorio. Ma la sua provvisorietà per lunghi decenni è rimasta ignorata. La vediamo bene adesso perché siamo alla vigilia di una transizione, ma non saprei bene verso cosa.
R. C’è sempre un eufemismo, una censura in atto quando si parla di “cose di mezzo”. Scriveva Borges: “L’impero romano non è mai finito e ci troviamo in un punto qualunque della sua decadenza e caduta”. In termini storiografici, il Medio Evo è un evo “di mezzo” tra antichità e modernità. Ma se si guarda la storia dalla sponda orientale del Mediterraneo, non esiste una “terra di mezzo”, né geografica né cronologica, bensì una continuazione dell’impero romano tardoantico, fino alla soglia dell’era moderna. E Bisanzio includeva o irradiava quello che fino a qualche tempo fa chiamavamo Medio Oriente. Tanto più assurdi i luoghi comuni che si nutrono di una definizione “medievale” del mondo islamico a significare, alternativamente, l’arretratezza civile, sociale, economica della sua storia postcoloniale, o la brutalità della guerra che vi facciamo.
C. Per Edward Said l’orientalismo, cioè il tentativo di definire che cosa sia l’oriente da parte della cultura occidentale, è una sovrastruttura. Di cosa? Dello sfruttamento capitalistico. Neanche la drôle de guerre che stiamo combattendo in questo momento ha nulla di medievale. E come andrà a finire lo aveva già teorizzato il califfo Al Baghdadi. Comunque vadano le cose, l’islam tracimerà. Abbiamo vinto a Mosul, stiamo vincendo a Raqqa, ma quand’anche il Daesh fosse battuto il suo lavoro continuerà sotto forma di terrorismo in Europa. Perché l’Islam tutto e solo nell’Oriente non ci sta. Perché l’Islam è l’Oriente dell’Occidente ma anche l’Occidente dell’Oriente.
R. La nostra è un’epoca in cui, nell’autunno del Medio Oriente, si fa un gran parlare di Oriente tout court: di scontro di civiltà tra un Occidente identificato con l’Europa nordoccidentale e l’America da un lato, e un Oriente imprecisato, vasto e spaventoso, “che ci fa guerra”.
C. La verità è che l’Oriente e l’Occidente sono due punti cardinali, due entità non solo convenzionali ma anche molto più compromettenti e sfuggenti dei loro cugini settentrione e meridione, che hanno uno statuto assoluto.
R. Ma il problema di dove comincia l’Oriente, più ancora che geografico, è storico. Quand’è che cominciamo a distinguere tra Oriente e Occidente?
C. Nell’Iliade e nell’Odissea il problema non c’è. Forse nella nostra cultura è impostato per la prima volta dai Persiani di Eschilo, che pone la questione della Grecia e della Persia. Poi ci sono Ottaviano e Antonio da una parte e il testamento di Teodosio dall’altra, che definisce la pars Orientis e la pars Occidentis dell’impero romano, almeno in parte corrispondenti alla frontiera tra Europa e Asia. E’ quello forse il punto di partenza storico.
R. Permettimi di dissentire. Riguardo alla Grecia, Erodoto, il fondatore della storia, nasce in Asia Minore; la grande guerra del Peloponneso è una partita a tre in cui a dare le carte — ad Atene, a Sparta e ai vari partiti all'interno di ciascuna polis, come racconta bene Luciano Canfora — è sempre e comunque l'impero persiano; Senofonte, l'allievo forse più brillante di Socrate, se ne va a servire il gran re di Persia. Per quanto riguarda Roma sappiamo che Cesare aveva sognato di spostare la capitale ad Alessandria, seguito da Antonio, a sua volta fermato dalla restaurazione un po' beghina di Ottaviano Augusto.
C. La tua è una buona traccia perché ci permette di fare subito i conti con la figura iniziale di questo sogno che non avrebbe portato alla distinzione tra Oriente e Occidente ma a un discorso diversamente ecumenico. Parlo del disegno di Alessandro. La sua ombra si proietta non solo su Cesare ma addirittura sull’Islam quando si dice ogni tanto, anche a torto, che ci sono califfi o sultani che hanno continuato a dire che vogliono conquistare l’aureo pomo, Roma. Ma Roma non è Roma. Roma è Rûm, è l’impero romano, ossia Costantinopoli.
R. Dopo che il baricentro dell’impero romano torna a spostarsi a oriente, ecco che la capitale si sposta da Roma alla frontiera esatta tra Europa e Asia. Nel IV secolo l'impero romano migra e lascia dietro di sé un territorio che malamente Giustiniano cerca di recuperare ma che poi viene abbandonato. La pars occidentalis non c’è più. Ci sono i papi.
C. Ma è questa parte dell’impero, metabolizzata come sappiamo con apporti celtici e germanici, che a un certo punto vuole strappare rispetto a una tradizione antichissima, risalente alla fondazione dell’impero cristiano, a Teodosio, per cui il vero arbitro della chiesa, il suo protettore ma anche il suo coordinatore, resta l’imperatore. Questa separazione tra potere temporale e potere spirituale i bizantini l’hanno sempre mantenuta, mentre in Occidente è accaduto quello che è accaduto.
R. Allora lascia che ti provochi: non pensi che in realtà la distinzione vera, quella politica e cruenta, tra Oriente e Occidente cominci con la distinzione ecclesiastica? Potrei citare il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, il filioque, lo scisma di Fozio…
C. E quello del 1054. In realtà l’idea dell’Oriente e dell’Occidente come qualcosa di contrapposto non si sarebbe mai sviluppata se non si fosse persa Bisanzio. Pensiamo al famoso verso di quella poesia di Kipling: “L’Oriente è l’Oriente e l’Occidente è l’Occidente e non si potranno mai incontrare”. E’ un’idea che non sarebbe mai stata pensabile se la vocazione universalistica di Roma non si fosse azzerata, perché superata o negata dagli eventi. Negata poi molto a fatica dato che la caduta di Bisanzio è una delle ragioni per cui chi domina Istanbul non può andare, tecnicamente parlando, d’accordo con chi domina Mosca. Ancora oggi lo si vede.
R. La caduta di Costantinopoli del 1453 è stata descritta come un epifenomeno della fine della Pax Mongolica, che costrinse nel piccolo specchio del Mar Nero i traffici e la competizione mercantile e finanziaria delle potenze protocapitaliste occidentali, veneziani e genovesi anzitutto, creando un conflitto acerrimo tra loro che fu la più diretta causa della fine dell’impero bizantino. Il grande mulino della civiltà bizantina, con la sua vocazione multietnica e la sua capacità di amalgamare popoli e culture, faceva da cinghia di trasmissione a eventi che si verificavano più in là nel mondo che chiamiamo orientale — movimenti e migrazioni di popoli, guerre e paci, politiche economiche e sociali. Costantinopoli era solo una stazione di posta di quella grande rete mondiale di trasmissione che solo dalla fine dell'Ottocento abbiamo chiamato Via della Seta e che attraverso il Mediterraneo portava verso occidente non solo beni mercantili ma anche, se non soprattutto, beni culturali: storie, canti, concezioni artistiche e filosofiche, credenze, culti religiosi in continua ibridazione, in cui vediamo non soltanto islam e cristianesimo di vari tipi — nestoriano, monofisita e così via — ma anche tutta una serie di altre tradizioni religiose scambiarsi le loro mercanzie. Oggi si parla di globalizzazione e di New Silk Road. Vedi un ritorno, un nuovo spostamento dell'asse del divenire storico? il futuro porterà un’egemonia dell'Oriente?
C. Dire che la cultura occidentale ha trionfato sulle altre è un’affermazione valida da un punto di vista scientifico, tecnologico, socio-economico. Ma questo trionfo non ha fatto sì che la filosofia dell’induismo sia diventata nulla rispetto a quella cristiano-occidentale o addirittura a quella dell’Occidente decristianizzato. Inoltre, è la stessa egemonia socio-politico-economico-finanziaria che avvertiamo di stare perdendo nel momento in cui il processo di globalizzazione ha reso la cultura cosiddetta occidentale quella di tutto il mondo, o perlomeno delle sue classi dirigenti. Ma non è più legata ai popoli occidentali. L’avanzata della Cina è possibile perché i cinesi proseguono una tradizione in cui sono entrati successivamente. Ma continuano ad essere occidentali, più o meno come i barbari che conquistarono l’impero romano hanno cercato in tutti i modi di proseguirlo. La cultura occidentale continuerà a dominare il mondo. Ma forse sarà rinnovata in quanto strappata a quelli che ne erano i portatori e gestita da altri che non hanno esattamente gli stessi problemi. Attraverso la Cina, e magari anche attraverso gli sceicchi arabi, è l’Occidente che ci viene di nuovo addosso, ma non è più l’Occidente umanistico, illuministico o romantico. E’ un Occidente come è stato elaborato tra la fine dell’Ottocento e quella del Novecento. Che forse non avrà più tutti i complessi e tutti gli elementi di debolezza che sentiamo noi. La nostra eredità ci si è disseccata tra le mani. Loro la stanno facendo fruttificare in un’altra maniera. Il fatto che da qui a 20/30 anni la classe dirigente del mondo non sarà più americana o inglese ma cinese o indiana e magari un po’ brasiliana, pakistana o iraniana, dipende dal fatto che sono loro ad essersi resi veri eredi e interpreti dell’aspetto più vivo della cultura occidentale. Saranno loro i veri occidentali in futuro.
R. Nel pieno del cosiddetto Medio Evo, in una piccola corte mongola, il sovrano indice una gara d'appalto tra i migliori artisti del mondo per affrescare la sala del trono del suo nuovo palazzo. Alla fine vengono selezionate due botteghe di artisti, una ovviamente di pittori bizantini e l'altra di cinesi. Il primo turno è dei bizantini, che realizzano una parete meravigliosamente affrescata con colori mai visti. Tutti si domandano come potranno mai essere superati. E’ il turno dei cinesi, che devono fare la parete opposta. Con i loro strumenti la levigano così perfettamente da farne uno specchio che riverbera quella affrescata dai bizantini. Naturalmente nella gara di corte i vincitori sono gli artisti cinesi.