Hillman dopo Hillman
Il verde, le immagini che curano, l’arte di morire. A dieci anni dalla scomparsa del grande psicologo del “Codice dell’anima”, esce il suo libro postumo.
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Silvia Ronchey: Secondo la frase di Keats che citi sempre, il mondo è «la valle del fare anima».
James Hillman: Dobbiamo immaginare quella terribile dispersione del mondo. È l’idea da cui voglio partire. Essere qui, a Ravenna, nel momento della più acuta fantasia di crollo del nostro tempo, immaginandoci nel quinto secolo. Qualcosa di molto più profondo di ciò che accade ora a Wall Street (durante la crisi del 2008 ndr). Che è un fenomeno macroscopico, ma non è tutto, vero? È solo una parte della fantasia archetipale dell’occidente che
sta crollando. Ricorre così spesso nella nostra storia la fantasia della fine del mondo. Il mondo di oggi offre un contesto storico perfetto all’idea di fine. È il sentimento do- minante della nostra epoca. E allora tutto quello che vedremo qui a Ravenna dovrà essere l’indizio di una detective story, un indizio da sfruttare per dedurre che cosa, invece, resta. Che cosa continua. Che cosa c’è da imparare? È questo che voglio come apertura del libro. E voglio sia chiaro da subito che questa è la domanda: cosa possiamo imparare? È per questo che dobbiamo capire quali immagini gli esseri umani di allora hanno usato per contrastare l’ansia della fine in quel momento di gigantesca distruzione. Quali?
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J.H. Quella che rimane più fortemente impressa in me è l’immagiNe del globo blu. L’abbiamo vista due volte, ed era in tutti e due i casi al centro del mosaico dell’abside.
S.R.: Una è qui, a San Vitale. La teofania del Cristo Cosmocratore, al centro del catino absidale. È ispiRata al versetto dell’Antico Testamento che recita: «Il cosmo è il mio trono, e la terra sgabello per i miei piedi». Quello che chiami il globo azzurro, quindi, è simbolo dell’universo, del cosmo.
J.H.: E l’altra era di nuovo un globo blu, ma all’interno di un mondo molto verde.
S.R.: Nella Trasfigurazione di Sant’Apollinare in Classe. Il grande disco blu che sovrasta la natura ver- de e circoscrive un cielo stellato.
J.H.: Il globo azzurro sopra il gregge immerso nel verde. Un’immagine meravigliosa. Di tutte quelle che abbiamo visto, è quella che rivedo di più. Ne visualizzo anche altre quando ci penso, ma questa è l’immagine che mi viene immediata, che tengo dietro le palpebre, subito al di qua degli occhi. \ Quello del globo blu è un simbolo molto attivo nella psiche odierna. Quando gli astronauti, anzi un astronauta in particolare, l’ho conosciuto a un convegno, quando ha guardato fuori e ha visto la Terra, gli è apparsa come un globo azzurro ed è stata per lui un’esperienza assoluta, mistica.
S.R.: Una sensazione di bellezza ma anche di fragilità. Il nostro pianeta, oggi lo sappiamo bene, è fragile.
J.H.: Quello che voglio fare è ricollegarmi all’idea di Jung. Il quale, dopo avere vi- sitato il Mausoleo di Galla Placidia, ha avuto nel Battistero degli Ortodossi una visione che lo ha connesso con il suo sé o comunque vogliamo chiamarlo. Alla visione di Jung io contrappongo quella dell’astronauta, che ne rappresenta il rovesciamento copernicano: vedere improvvisamente la Terra, nella sua bellezza, come cosmo. È stato decisivo per lui e dopo di lui per moltissimi, considerato l’enorme uso che è stato fatto di quell’immagine, sulle copertine delle riviste e dei libri, ovunque. Il globo blu. Questo è ciò che dev’essere protetto. È la nostra madre, è la nostra sacra terra. È il nostro pianeta. È la nostra diversità. Non siamo Marte, né Venere, né Mercurio, non siamo la luna. Quei corpi celesti sono tutti aridi, sterili. Mentre il nostro è un prezioso, acquoso mondo azzurro.
E davanti a quest’immagine si staglia la nostra più profonda istanza ambienta- le. Più profonda, perché non riguarda la sostenibilità o la riorganizzazione economica o le emissioni dei gas serra, non atti- va il tipo di linguaggio al quale siamo abituati. Ci parla nei termini di un’esperienza quasi religiosa della bellezza. Il mondo è così bello, dobbiamo lasciarlo fiorire. Ci sono campi verdi e animali. È ciò che videro gli artisti che usarono quella stessa immagine a Ravenna. La dolcezza e bellezza del mondo in cui tutti coabitiamo, pecore e santi, genti e natura.
E credo che questa sia la sola vera motivazione a salvare la Terra che possa diventare collettiva. È la più forte delle motivazioni perché tutte le altre sono economiche o tecnologiche ma non toccano l’anima nello stesso modo. La visione dei mosaici dell’abside della basilica di Sant’Apollinare in Classe ha un potere motivazionale che la ratio del «dobbiamo continuare a sopravvivere» non ha. La bellezza è un’istanza molto più potente per- ché la bellezza evoca l’amore. Questo dice Platone.
S.R.: Nel Simposio, nel dialogo tra Socrate e Diotima, o nel Fedro, quando parla dell’anima che «in terra sta smarrita, palpitando co- me un’arteria che non trova la propria apertura, ma appena vede la bellezza è invasa dall’onda del desiderio amoroso e le si sciolgono i canali ostruiti e prende respiro». Ma anche nella dottrina del sufismo, che del resto è uno sviluppo di quella platonica e neoplatonica, bellezza e amore sono i primi due elementi della triade cosmogonica. Pensiamo a Sohrawardi.
J.H.: Ma, più semplicemente, lo sappiamo tutti. Quando ci innamoriamo, la persona di cui siamo inna- morati appare bella. E può non essere così, il suo aspetto in sé può es- sere tutto fuorché bello, ma noi vediamo bellezza. E quando vediamo bellezza in qualcosa, la amiamo. Il nostro amore si dirige lì. Le due cose sono intimamente connesse. E questo è platonico. Bellezza e amore non possono separarsi. E quando perdiamo il senso della bellezza di qualcosa, ci disamoriamo. È sempre così. E questo significa che se vogliamo preservare il pianeta dobbiamo vedere la sua bellezza, perché se la vediamo ce ne innamoriamo. E se ci innamoriamo della Terra, non vogliamo farle del male. Vogliamo tenerla stretta. La prima cosa che vogliamo fare a ciò che amiamo è proteggerlo, stringerlo a noi, aiutarlo. E questa è una motivazione completa- mente estranea alla sfera economica, o a quella dell’espiazione, del senso di colpa per quanto abbiamo fatto in passato. No. Non toccatela. È questa l’istanza che va dritta al cuore. Ed è un’istanza che ho visto su quel muro, in quel globo blu, nei prati verdi di quel paradiso.