Lo scaffale dei Classici antichi. Migrazioni, clima e credenze: tutta un'altra storia
Come è attuale la caduta di Roma | La Glaciazione che cambiò l'Impero | Vita e morte per i pagani.
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Si dice che l’impero romano sia caduto a causa di quelle che fino a poco tempo fa venivano chiamate invasioni barbariche. Oggi si parla, con espressione desunta dagli storici germanici, di “migrazione di popoli” (Völkerwanderung). In realtà dell’impero romano cadde soltanto la pars occidentis, ossia quella che aveva come asse gravitazionale l’Europa occidentale; mentre la pars orientis, dove la capitale dell’impero era stata trasferita un secolo e mezzo prima da Costantino, continuò a prosperare, includendo i “popoli migranti” quali nuovi soggetti sociali nella propria classe dirigente, formando sempre nuove élite e perpetuando la tradizione statale romana ancora per più di un millennio. E’ quindi eminentemente occidentale, e legata alla percezione di quanti rimasero legati al vecchio fulcro geopolitico della Prima Roma, l’idea di una “decadenza” della civiltà cui appartenevano: di quella senectus mundi, “vecchiaia del mondo”, che sta, insieme ai suoi teorizzatori, al centro del libro di uno studioso americano, Kyle Harper, ora uscito in Italia (Il destino di Roma. Clima, epidemie e la fine di un impero, Einaudi, 508 pp., 34 €). Se l’idea di una “fine” dell’impero romano è ormai storicamente superata, il saggio di Harper è metodologicamente innovativo da altri punti di vista. Della crisi del III secolo, che depauperò la penisola italica e causò la migrazione anzitutto dei capitali senatòri verso la sponda del Mediterraneo in cui sarebbe stata fondata Costantinopoli, evidenzia i fattori ambientali, epidemiologici ma soprattutto climatici. Fornendo dati nuovi per l’interpretazione della storia antica ma anche, se non soprattutto, per quella del nostro presente.
Se la storia della “decadenza e caduta” proposta da Harper è fatta meno di battaglie contro i barbari che di lotta contro virus e batteri, cicli solari e quindi il precipitoso calo dell’insolazione, postulato dagli scienziati in base alle prove fornite dall’isotopo del berillio, il raffreddamento del clima alla metà del III secolo cambiò anche il rapporto secolare tra i romani e le Alpi, di cui tratta il libro di una storica ed epigrafista, Silvia Giorcelli Bersani (L’impero in quota. I Romani e le Alpi, Einaudi, 269 pp., 28 €). La “piccola glaciazione” dell’età dioclezianea, che portò ghiacciai alpini come il Grande Aletsch o come la Mer de Glace sul massiccio del Monte Bianco ad avanzare dopo secoli di disgelo, rese più difficile il controllo strategico del confine naturale dell’impero, delle “Tremendae Alpes” che, da Annibale in poi, i romani avevano progressivamente domato e colonizzato, traendone anche materie prime che avevano contribuito alla ricchezza del loro stato. Di questa impervia Frontiera, vero Far West degli antichi, L’impero in quota racconta non solo lo sviluppo economico ma anche e soprattutto le avventure umane, e poi i miti, i riti, i culti, spesso importati, tramite le legioni, dall’oriente: ad esempio, il successo del mitraismo, attestato dal brulicare di mitrèi nel Trentino romano, o anche, all’opposto versante, sulle Alpi Graie, dai cui resti archeologici divinità dagli occhi spalancati e rivolti verso l’alto, irrigidite nelle loro corazze di pietra, testimoniano anch’esse a loro modo, nell’adorazione del Sole Invitto, l’importanza, per i cicli storici, dei cicli solari.
E anche l’importanza dei miti e delle credenze sull’aldilà, di cui ogni ciclo storico nutre la sua antropologia, e con ciò la sua collettiva psicologia, non meno integrante al costituirsi di un’idea o superstizione di “senescenza” o “decadenza” della civiltà. Del concetto che l’antichità pagana aveva della morte, ben diverso da quello cristiano, privo di una promessa di gratificante vita eterna, declinato in una molteplicità di credenze palliative in un precario e spesso inquietante aldilà, parla il libro di Doralice Fabiano (Senza paradiso. Miti e credenze sull’aldilà greco, Il Mulino, 278 pp., 20 €), mostrando come in una religione senza dogma quale era quella ellenica l’idea stessa di vita sia determinata da quella di morte, e a dominare la ricerca di salvezza sia più la morte-in-vita del mistico che la vita-in-morte del credente in una qualche fabula sull’immortalità.