Che trucco per l'impero!
Lettere da Bisanzio
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La femme fetale, dicono gli studiosi, si riconosce dallo sguardo. È uno sguardo inconfondibile, terribile e antico. Pietrificagli uomini, li priva della volontà, della cognizione dello spazio e del tempo e di ogni altro senso. Come insegnano i miti greci, del resto, la passione è spesso l’inizio di una metamorfosi. Per la vittima della femme fatale, è l’anticamera del nulla. Nell’Erodiade di Flaubert gli occhi bistrati di Salomè sono terribili e carichi di morte. In una lettera lo stesso scrittore ricorda così una personale esperienza: «Emanava dagli occhi un fluido luminoso che sembrava ingrandirli: erano immobili e fissi. Tutta la terra era scomparsa. Vedevo solo la sua pupilla dilatarsi sempre più» (Correspondance, 1846).
La morte negli occhi è il titolo di un famoso saggio di Jean-Pierre Vernant sul mito di Medusa e le sue implicazioni nella psicologia dell'antico uomo greco. Le rappresentazioni di Medusa si moltiplicano, d’altronde, nella letteratura e nell’arte del decadentismo, dalle decorazioni liberty ai dipinti di Lèvy-Dhurmer, alla capigliatura gonfia e crespa, ingioiellata, «bluastra e serpentina» della Salomè di Beardsley come di Teodora o di Turandot. A celarsi nel mito tardoromantico dello sguardo della femme fatale è un’interpretazione simbolica dell’antica immagine della Gorgone.
A questo modello originario di remota regina orientale, dal potere arcano, seduttivo e mortifero, femminile e insieme virile, autoritario e di fatto materno (una delle prime femmes fatales legate a questo archetipo non è forse Giocasta?), obbedisce la descrizione che di una donna fatale bizantina fece nel XII secolo un’altra donna. Anna, figlia dell'imperatore Alessio I Comneno, scrittrice di storia nata nella Porpora. Anna Comnena consegna alle pagine della sua Alessiade (voi. I, pp. 107- 108 dell’edizione Leib) questo ritratto della sua matrigna e rivale Maria d’Alania, circassa di nascita, amante di suo padre e già madre del suo sposo promesso, Costantino.
«Era altissima di statura e sottile come un cipresso. Aveva la pelle bianca come la neve, il viso perfettamente ovale, guance colore di myosotìs o di rosa. Ma il lampo dei suoi occhi, quale essere umano può raccontarlo? Sotto le sopracciglia, che erano alte, sottili, arcuate e di colore rosso fuoco, lo sguardo era di un blu verde iridato, da uccello rapace. La bellezza fisica dell’imperatrice, la malia che da lei irradiava, il fascino ipnotizzante dei suoi modi, nessun poeta potrebbe descriverli, nessun artista riprodurli. Una statua come quella, né Apelle, né Fidia, né alcuno dei grandi scultori l’ha mai scolpita. Si dice che il volto della Gorgone pietrificasse gli uomini che vi posavano lo sguardo. Ma chi avesse anche per un attimo veduto avanzare Maria, o all’improvviso se la fosse trovata immobile davanti, rimaneva lui stesso stupefatto, paralizzato nel gesto, svuotato, quasi avesse perso anima e senno. E pareva in compenso si fosse animata una statua, per un sortilegio erotico agli occhi degli uomini sensibili al bello».
È forse a causa di questa ipnosi, è per mascherare questo sguardo o per esaltarlo che la femme fatale fa uso abbondante di trucco, in genere scuro, attorno agli occhi? Da sempre, e fino alla caduta dì Costantinopoli, le dame greche orientali usavano un bistro teatrale, una profusione di kohl, come mostrano le testimonianze iconografiche. Il loro è sempre stato uno «sguardo oscuro», occhieggiante lungo tutto il millennio dalle absidi di Ravenna o dai mosaici di Santa Sofìa, fino agli affreschi quattrocenteschi presenti nelle navate e negli arcosòli riservati alle sepolture imperiali all’interno della Karije Djami a Istanbul, già chiesa di San Salvatore in Chora, studiati da Paul Underwood e restaurati negli anni 60 con intervento di Dumbarton Oaks.