Silvia Ronchey

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Interviste

Il vero Elémire Zolla ve lo racconto io

Razionalista. Incapace di qualsiasi crudeltà. Avverso al fascismo. Ad un mese dalla scomparsa del pensatore torinese, l'ultima compagna sfata i luoghi comuni che hanno circondato la sua figura

27/06/2002 Silvia Ronchey

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Sette

Beati i poveri di fiato - e cioè co­loro che nella vita hanno molto riso e molto pianto e molto si sono affannati a conoscere - per­ché loro è il regno dei cieli. Così Elémire Zolla amava interpretare l'enigmatica frase del Vangelo sui poveri di spirito. Alle 8.36 del mat­tino del 29 maggio scorso l'ultimo fiato abbandonava Zolla. Una crisi cardiaca lo aveva colto nel suo let­to all'inizio della notte. Si era rifiu­tato di andare in ospedale, aveva respinto ogni cura, si era misurato per ore, interamente lucido, col re­spiro che gli mancava, conservan­do l'ultimo per una tazza di tè. Grazia Marchiano, sua compagna di vita come di pensiero, non si era scostata un istante dal suo fianco. «Elémire è morto nella condizione alla quale aspirava e che aveva de­scritto in anticipo nei Mistici del­l'Occidente», sussurra ora questa donna esile e forte, ordinaria di estetica, orientalista e indologa. «È morto come aveva immagina­to, una morte perfetta: prestando un’attenzione ridotta all'io sofferente, at­tuando una re­sa alla forza delle cose».
La casa di Montepulciano è ancora piena della vita di Zolla, dai suoi libri ai minuti reperti della grande colle­zione orientale. La vedova ha davanti i molti ritagli dei gior­nali che in que­ste settimane si sono prodigati in ritratti parziali, contrastanti fra loro. Ha accettato di rompere il ri­serbo e dire, dei cliché che circon­dano la figura di Zolla, tutto quel­lo che pensa. «È stata trasmessa di Zolla un'immagine poco veridica».

 

Cominciamo dal primo dei luo­ghi comuni: Zolla iirrazionalista, l'ispirato, il mistico orientaleg­giante.

 

«Altro che irrazionale! Se c’era un logico assoluto era lui. Su una razionalità rocciosa e adamantina ha costruito un sistema di obiezio­ne allo spasmo dualistico ragione-irrazionalità del pensiero occiden­tale. Nelle filosofie e religioni del­l’Asia ha visto soluzioni per il suo superamento».

 

Allora come collocare Zolla nella storia del pensiero?

 

«Una collocazione storica cor­retta di Zolla è nella linea degli scopritori otto-novecenteschi di un Oriente visto come luogo cru­ciale di filosofia. A partire da Schopenhauer, che colse la profondità della mente buddhista. E poi da Nietzsche, che teorizzò il dionisismo. In II dio dell'ebbrezza Zolla fa affiorare la sotterranea corrente sciamanica che attraver­sa la sapienza occidentale».

 

Ce un altro cliché molto diffuso: Zolla grande capo dell’Internazio­nale degli Gnostici, la triade Ceronetti-Zolla-Cioran...

 

«La gnosi è per definizione co­smopolita, ma certo non nel senso di un’Internazionale Gnostica. Zolla era uno studioso della di­mensione gnostica della conoscen­za. La triade Ceronetti-Cioran-Zolla è un teatrino un po’ sbilenco. Non mi risulta che Zolla si sentis­se affine a Cioran. Con Guido era­no amici».

 

C’era dunque affinità con Cero­netti?

 

«Vede, quando si dice gnostico si implica un atteggiamento di pessimismo radicale. Lo gnostico è un essere tallonato dalla tenebra. Questa è in effetti la dimensione di Ceronetti. Ma nella visione di Elé­mire non c'è un corteggiamento della tenebra di natura malinconi­ca. Il suo è stato un ininterrotto corteggiamento della luce».

 

Un ulteriore stereotipo è quello di uno Zolla esoterista e perfino occul­tista.

 

«Spiritismo, occultismo, satani­smo sono fenomeni che scrutò a fondo, e si convinse che coloro che li praticano si illudono di entrare nella profondità delle cose».

 

C'è una componente inquietante nei lineamenti di Zolla che emergono da Belinda e il mostro, la bio­grafìa di Cristina Campo pubblica­ta da Adelphi. L’autrice, Cristina De Stefano, e quanti da lei interpellati azzardano una sorta di crudeltà di Zolla verso la Campo, quasi fosse il mostro del titolo.

 

«Zolla era incapace di qualsiasi crudeltà verso persone o animali- in lui esisteva solo l'insofferenza intransigente verso il fanatismo e il fideismo. Di qui il rifiuto della fase fanatica di Vittoria Guerrieni (il vero nome della Campo, ndr). Le messe, le genuflessioni al Russicum, la cerchia di beghine attor­no a Vittoria erano viste con un di­stacco ironico, che lo portò a iso­larsi da lei.

 

Conte ha reagito Zolla alla demo­nizzazione della De Stefano?

 

«Ne è stato amareggiato negli ultimi mesi della sua vita. Il qua­dro non corrisponde alla natura autentica dei rapporti, via via mu­tati, che lo hanno legato a Vitto­ria»,

 

Com'era stato, allora, il rapporto tra Zolla e la Campo?

 

«Un rapporto di amore iniziale molto forte, che aveva avuto origi­ne da un lato in una loro compatibilità felice, dall'altro nello straor­dinario talento poetico di Vittoria. È la fase di Elémire romanziere: Minuetto all'inferno (Premio Stre­ga ‘56}, Cecilia o la disattenzione (‘61). Andava a cena con Moravia, la Morante e i loro amici. Vide in Vittoria una letterata autentica, ol­tre che una creatura segnata dalla malattia cardiaca. Un’altra fonte di complicità con un ex malato di tisi alle prese con continue ricadu­te».

 

Ma con la Campo non cera an­che un'affinità dì visione del mon­do?

 

«Non credo che la loro affinità avesse dei robusti fondamenti filo­sofici. Vittoria era una lettrice on­nivora priva di formazione acca­demica, Il loro sodalizio si inseri­sce nella stagione di apertura di Zolla alla letteratura e alla misti­ca».

 

La Campo collaborò alla stesura dei Mistici dell'Occidente, che usci da Garzanti nel '62.

 

«Quella monumentale antologia Elémire la allestì trafelato in pochi mesi, costretto a letto, in preda al­la febbre. Fu aiutato da una giova­ne suggerita da Citati, che gli rac­coglieva i lesti. La Campo forni so­lo la traduzione di alcuni, come è indicato nel libro.

 

Perché Zolla non ha mai smenti­to le leggende sul suo conto, nean­che quella del possibile «mostro»?

 

«Zolla sapeva stare al mondo, ma anche difendersi dai suoi as­salti. Era stato un bambino solita­rio. Mentre la madre inglese dava lezioni di pianoforte e il padre pit­tore lavorava, i libri divennero il suo mondo. C'è un carboncino del padre che mi fa trasalire. Raffigu­ra un piccolissimo Elémire con le mani strette al petto e l espressione di chi si prepara a dare le spal­le al mondo. È questo che fece du­rante tutta la vita».

Ultimo cliché: Zolla reazionario, elitista e pensatore di destra.

 

«Elèmire nasce durante il Ven­tennio. È un angloitaliano, svilup­pa sentimenti di avversione al fa­scismo e a ogni ''ismo". Al Platone teorico della politica sentì di prefe­rire i platoni indiani come Naràrjuna, il teorico della "via di mezzo” buddhista».

 

Siamo alla fase indiana di Zolla, che, se non sbaglio, comincia con il sodalizio con lei.

 

«Prima di incontrarmi Zolla era arrivato fino alla Persia, Con me scoprì l’India e l'Asia orientale».

 

Ma la scienza occidentale, e il progresso che le si accompagna, per Zolla non erano diabolici?

 

«Non c’era antiprogressismo in chi nel 1990 inaugurò il dibattilo sulla realtà virtuale e le implica­zioni delle tecnologie informati­che. Nel 2030, esclamava gioioso, si potranno cambiare tutti i pezzi dei nostro cervello, vivere più di­mensioni…».


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