Artemidoro: giù la maschera
La meravigliosa, definitiva indagine sul papiro che filologicamente non è mai esistito
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Qualcuno potrebbe domandarsi perché Luciano Canfora negli ultimi cinque anni abbia profuso tanta attenzione e perfino ostinazione nello studio del cosiddetto Papiro di Artemidoro e nella dimostrazione della sua falsità, argomentata in libri e in una serie di articoli scientifici oltreché giornalistici.
La risposta è ovvia. Canfora ha sentito il dovere etico e politico di mettere a disposizione tutti gli strumenti del metodo critico e del mestiere di filologo per raggiungere il fine di ogni intellettuale, quasi una sorta di giuramento d’Ippocrate prestato all’intero organismo sociale: distinguere il vero dal falso e rendere questa distinzione disponibile non solo a pochi ma all’intera collettività. Spezzando, in questo caso, un muro di silenzio e di ipocrisia, e scongiurando il pericolo che il falso venisse esposto come vero ai cittadini da parte dello stato.
Era difficile. Più i suoi argomenti si moltiplicavano — e con ciò mettevano in crisi l’impianto difensivo di quanti avevano promosso nel 2004 l’acquisto del cosiddetto Papiro da parte di un’onesta e meritoria fondazione bancaria per la vertiginosa somma di 2 milioni e 750mila euro, anticipata da un importante studio di avvocato torinese — più risultavano ardui ai profani e talora perfino alla comunità degli studiosi.
Ora che per la portata delle scoperte e la tenacia delle argomentazioni la falsità del papiro è diventata communis opinio per lo più tra gli addetti ai lavori ma anche tra i profani, Canfora, coerentemente con lo spirito che fin dall’inizio ha animato la sua battaglia, ha voluto condensare tutta quell’ampia materia in un agile resoconto conclusivo, aggiornato fino all’ultima novità, che sotto il provocatorio titolo La meravigliosa storia del falso Artemidoro mette ordinatamente ogni dato a disposizione di ogni lettore.
Nel 2006 a Torino, in occasione della mostra a Palazzo Bricherasio, per spiegare la singolare multiformità del lungo rotolo — contenente sul primo lato un testo geografico, una bizzarra mappa e delle tavole da manuale di disegno — si era avanzata una teoria secondo cui avrebbe avuto “tre vite”, cioè sarebbe stato reimpiegato tre volte tra la fine del I secolo a.C. e la fine del I d.C. Canfora dimostra che non si tratta di “tre vite” ma di “tre opere”, ossia di tre falsi distinti. Eseguiti nell’800 dal celebre falsario Simonidis, rimasti a lungo chiusi nel fondo a lui dedicato nel Museo di Liverpool, in seguito (dopo il 1980) da lì scomparsi, poi ricomparsi, acquisiti dal “mercante” armeno Simonian, sono poi stati accorpati in un unico grande rotolo, per renderli commercialmente più appetibili ma anche, è pensabile, per mascherare il difetto di lavorazione (forse litografica: il cosiddetto fenomeno della “scrittura impressa”) per cui Simonidis doveva avere rinunciato a far circolare il suo lavoro.
Se l’autenticità del papiro è dimostrata impossibile già solo da considerazioni filologiche (macroscopica difformità stilistica del cosiddetto proemio, scritto in greco tardissimo, dalle colonne propriamente geografiche, a loro volta attinte da un autore del IV secolo d.C.., Marciano), l’ascrivibilità dei tre falsi che lo compongono a Simonidis è dimostrata da una serie di influenze sia contenutistiche sia letterali derivanti da opere ottocentesche (l’Artemidoro di Kuffner, la Geografia di Ritter) la cui conoscenza da parte di Simonidis è provata. Altrettanto lo è la dipendenza di tutte le figure del recto dalle tavole di manuali di disegno sette-ottocenteschi (Jombert, De Wit, Volpato-Morgen, Le Brun) ben noti al grande falsario.
La “radice infetta” che inquina la querelle, la volontà di occultamento e mistificazione di questi e altri elementi da parte quanto meno di chi ha venduto il papiro è peraltro dimostrata dall’allestimento di un altro falso macroscopico: la foto del cosiddetto Konvolut, ossia dell’ipotetico ammasso papiraceo da cui il “grande rotolo”, insieme ad altri 150 frammenti di papiri documentari mai resi noti, dovrebbe essere stato estratto. Foto solo tardivamente esibita in risposta ai dubbi sull’autenticità e per le indagini della polizia scientifica frutto di un fotomontaggio.
La cronologia addotta dai difensori del papiro (e spesso ridefinita, così come sono mutate nel tempo le loro versioni e perfino, sembrerebbe, i contenuti materiali del rotolo) presenta incongruenze tali che la falsificazione dei dati parrebbe nota non solo al venditore del reperto. Ma non ci addentreremo qui in un argomento così delicato, così come non entreremo nel merito dei moltissimi altri dati oggettivi che Canfora ha esposto in questo libro per dimostrare che nessuna verità può essere preconfezionata e somministrata al “popolo che non intende” approfittando della difficoltà delle competenze che richiede per essere sceverata. Al contrario — anche se con molta fatica — tutto può (e deve) essere spiegato a tutti: a tutti coloro che hanno la buona volontà di capire, e di discernere la verità dal suo contrario. Una volontà che è pericolosissimo scoraggiare. Ed è questo il più schiacciante degli argomenti del libro, e il più importante motivo per leggerlo.