La fabbrica dell'uomo nuovo, ossessione dei regimi
Il caso doping che coinvolge la Russia riporta alla luce la mistica del corpo perseguita dai totalitarismi
Articolo disponibile in PDF
Per il capo dell’Agenzia medico-biologica russa Vladimir Uiva, il report sul “doping di stato” denunciato dalla Wada ha “motivazione assolutamente politica”. Che sia vero o no, la politica c’entra. Al di là della storia ematica degli atleti olimpici racchiusa nei database dell’inchiesta dell’agenzia mondiale antidoping, a riemergere da questa vicenda di manipolazioni e segreti governativi è il genoma stesso di un’ideologia persistente, il Dna storico di un passato recente, il germe dell’utopia del mondo russo, comunista, prima ancora populista, zarista prima che sovietica. E’ l’idea dell’uomo nuovo a riaffiorare nel sogno di creazione di una forza micidiale, di un riscatto politico collettivo attuato attraverso la trasumanazione biochimica del corpo.
L’ossessione del perfezionamento del corpo come simbolo della possibilità di affrancamento del popolo nella mistica rivoluzionaria russa si radica in un’antropologia e in un’estetica che fin dal principio del Novecento vedono l’organismo umano in chiave biomeccanica. La combinazione di materialismo ed empiriocriticismo dei Fondamenti dell’estetica positiva di Anatolij Luna?arskij, usciti nel 1903 e poi ripubblicati varie volte durante la Rivoluzione, aveva posto le basi del realismo socialista e definito le costanti dell’arte sovietica degli anni 20 e 30, che saranno ufficializzate nel ’34 in pieno stalinismo. Da allora una pletora di corpi proletari perfetti, potenti, radianti speranza nel riflesso puro e vivace del sole del progresso avrebbe invaso non solo la pittura e la grafica ma le strade, le piazze, i simboli architettonici del potere sovietico.
La dottrina dell’uomo nuovo, già alla base degli ideali di progresso sociale, industriale, tecnologico, pedagogico dei teorici prerivoluzionari dell’Ottocento russo, raccordava la lotta per un mondo migliore all’ideale della “persona perfetta”, o anzi della “persona che lotta per raggiungere la perfezione”. In questo senso, la salvezza collettiva comportava una trasmutazione che equiparava l’atleta al santo, proprio come agli esordi del cristianesimo, dove il greco athlesis vuol dire insieme gara atletica e martirio, che a sua volta ha il significato di “testimonianza” nella maratona per il regno dei cieli. In qualche modo questa soteriologia si sostituiva a quella della chiesa decimata e perseguitata dalle purghe staliniane, che abdicava la glorificazione del popolo della Santa Russia a un’altra religione salvifica, ma positivista e laicista, sostenuta da una scienza comunque mirabolante e dai sovrumani poteri.
La più penetrante e amara descrizione dell’esperimento comunista di palingenesi scientifica dell’individuo e della società è in Michail Bulgakov, che nel ’25 irrise l’ideologia dell’uomo nuovo, l’idea stessa della sua trasformazione e redenzione anche biologica, nell’intrepida parabola di Cuore di cane: il trapianto chirurgico di ghiandole umane nel cane Šarik, la sua trasformazione in uomo, l’esilarante inconcludenza dell’esperimento fustigavano insieme il ceto di nuovi ricchi del regime e gli eccessi della scienza sovietica.
Criticato da Theodor Adorno e dagli altri filosofi della scuola di Francoforte, il culto del corpo, l’investimento sull’atletismo, è peraltro il segnale costante del formarsi di un potere autoritario nazionalistico. Se in origine il marxismo bolscevico criticava e limitava l’attività fisica e la disciplina sportiva in antitesi all’eroismo razziale nazifascista, la questione del corpo investe lo stalinismo in modi non dissimili da quelli del Terzo Reich, pur con antropologie diverse. Un teorico del rapporto tra politica e sport come John Hoberman ha considerato il corpo una “variabile ideologica” e studiato specificamente, nei regimi totalitari novecenteschi, la relazione tra corpo sportivo e corpo politico, che oggi vediamo candidamente esibita in Putin — a torso nudo, a caccia, sul campo di hockey — come già in Stalin e Mussolini. Il corpo invincibile del leader proietta simbolicamente sulla massa il carisma delle sue qualità come il suo potere mistico. Non a caso il corpo mummificato di Lenin nel mausoleo della Piazza Rossa, immerso nella sua vasca di chinino e fenolo blindata dal vetro antiproiettile, è stato strenuamente difeso da Putin e paragonato alle reliquie dei santi sul Monte Athos.
E’ a questo punto che il culto del corpo santo — del leader come del del lavoratore esemplare di cui sono irti i monumenti delle città, le strade, le piazze — si raccorda con la tradizione millenaria del cristianesimo bizantino e dell’ortodossia russa. Frontiera della biologia è la taumaturgia. Il corpo dell’”atleta”, martire portatore di athliotes, sofferenza, oggetto di esperimento, a volte di accanimento, fa però meraviglie, è destinato al trionfo nella prova, alla vittoria del corpo e sul corpo. Nel superare se stesso il nuovo santo della religione comunista abbatte le barriere di classe, balza letteralmente al vertice della convivenza sociale e dell’esperienza umana, e passando dalla subalternità alla sovrumanità polverizza il record del progresso storico sancendo la vittoria irrevocabile del proprio popolo. Come la statua colossale di Sergej Bubka, alta tre metri e mezzo su un piedistallo di 6 metri e 15 centimetri — il suo record di salto con l’asta — eretta nel 1999 a Donetsk, in Ucraina, proprio alla vigilia della svolta di Putin.
Un secolo di utopia totalitaria non si supera velocemente, specie se si tratta del Secolo Breve, uno dei più violenti ma anche dei più pervicaci nel credere possibile una repentina trasformazione dell’umanità. La materia di cui è fatta la storia, l’amalgama di idee, speranze, simboli, il magma dell’ideologia, è mobile e incandescente, non scompare. Può inabissarsi con il mutare superficiale dei regimi, ma continua a scorrere carsico, riemergendo a tratti da crepe sottili, che rivelano ciò che ribolle sotto la crosta. Dallo scandalo del doping di stato dei campioni russi l’ossessione del corpo atletico riemerge nel nuovo nazionalismo putiniano proprio nei termini, ironizzati da Bulgakov, della manipolazione biochimica e della trasmutazione fisica. Puntellando sull’asta della peripezia scientifica sovietica l’enorme salto di civiltà e cultura richiesto dal riscatto di un popolo immerso in un continuum autoritario, a dominare la nazione russa non è solo tornata la religione degli zar, ma permane, nella sostanza e nei simboli, quella di Stalin.