Piero della Francesca, enigma risolto. la «Flagellazione» invoca una crociata
Alcuni eventi che hanno cambiato il corso della storia avrebbero potuto avere una soluzione opposta se… Qui parliamo di uno di questi «se…», la caduta dell’Impero romano d’Oriente in mano ai musulmani, e di una tavola dipinta di 58,4 x 81,5 centimetri che ha cercato di far tornare Bisanzio ai cristiani. Il dipinto è la «Flagellazione» di Piero della Francesca, conservata alla Galleria delle Marche di Urbino, e a raccontarci l’importanza politica di questa tavola è la bizantinista Silvia Ronchey in un saggio erudito e affascinante, un libro a strati, che può essere letto come un romanzo ma con un apparato di note tanto ampio da essere consultabile nella sua interezza solo su internet (dal 19, quando esce il libro,
sul sito www.rizzoli.rcslibri.it/ enigmadipiero), intitolato L’enigma di Piero. L’ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro (Rizzoli, pp. 538, € 21).
La storia dell’interpretazione della tavola inizia nel 1438, anno del Concilio di Ferrara-Firenze che doveva celebrare l’unione delle Chiese d’Oriente (greco-bizantina) e d’Occidente (romano-latina). Gli imperatori Paleologi, che governavano l’Impero romano d’Oriente, negli anni Venti avevano già cercato di saldare i legami con i latini attraverso due matrimoni, quello di Cleopa Malatesta andata in sposa a Teodoro Paleologo (ma lei si bizantinizzò) e quello di Sofia del Monferrato che andò a Giovanni VIII (penultimo imperatore di Bisanzio). Lo scopo era quello di ottenere appoggi per arginare l’offensiva dei turchi.
Proprio Giovanni VIII, nel ’38, capitanava la delegazione orientale al Concilio, insieme al patriarca di Costantinopoli e al cardinale orientale, poi latino e allievo del grande platonico Giorgio Gemisto Pletone (fondatore dell’Accademia di Mistrà), il Bessarione, che pronunciò il discorso di apertura del Concilio. A guidare i rappresentanti latini c’era invece il padrone di casa Niccolò III d’Este, con papa Eugenio IV, l’imperatore di Germania, il filosofo Trapezunzio, nobili e umanisti. Molti artisti dell’epoca accorsero ad osservarono il passaggio dei «maghi» orientali, le cui facce e le cui vesti invasero da allora la cultura figurativa dell’Umanesimo, specie con Pisanello (ritrovati dalla Ronchey al Cabinet des Dessins del Louvre medaglioni e disegni) e come testimoniano i grandi affreschi di Benozzo Gozzoli, «Il corteo dei Magi» a Palazzo Medici-Riccardi e «La Leggenda della Vera Croce» di Piero della Francesca ad Arezzo. Le conseguenze del fallimento del disegno sincretistico tra le due Chiese promosso dal Bessarione si videro il 29 maggio 1453, quando — regnante Costantino XI, fratello di Giovanni VIII morto nel ’48—i musulmani presero Costantinopoli senza che nessun signore latino intervenisse a difesa. Gli ultimi Paleologi si ritirarono a Mistrà (Sparta), centro di diffusione del platonismo.
Passarono vent’anni e il 19 agosto del 1458, in una Roma torrida e imbandierata, venne eletto papa Enea Silvio Piccolomini, Pio II. Attratto dal platonismo, si prefisse il compito di riportare Bisanzio alla cristianità. E il primo giugno 1459, di nuovo con il Bessarione, inaugurò il Congresso di Mantova per indire una crociata per liberare Bisanzio o, almeno, parte della Morea (Grecia). Per questo scopo, varò iniziative propagandistiche tra le corti europee; e fu in questo clima che Piero della Francesca, transitato a Roma, dipinse la «Flagellazione», che è una sorta di immagine dipinta delle idee di Bessarione, un manifesto a favore del ricongiungimento tra Roma e Bisanzio.
Sotto metafora, Piero della Francesca raffigurò la situazione di vent’anni prima, quella del Concilio di Ferrara, di fatto invitando— alla luce della successiva caduta di Costantinopoli — alla crociata di Pio II. Ecco la spiegazione.
La tavola è divisa in due parti. A sinistra è raffigurata metaforicamente la sorte di Costantinopoli martirizzata dall’Islam. Il personaggio seduto a sinistra, come Ponzio Pilato, è l’immagine di Giovanni VIII, imperatore nell’anno conciliare 1438, che assiste all’attacco del sultano turco (la figura di spalle) che fa flagellare il corpo di Cristo, ovvero la cristiana Costantinopoli. Nella parte destra della tavola siamo nella Ferrara del Concilio: il primo a sinistra è il Bessarione, promotore dell’asse Roma-Bisanzio sia nel ’38-’39 che nel 1459; a destra, vestito in broccato, è Niccolò III d’Este, padrone di casa nel Concilio e rappresentante delle Signorie latine. Quello al centro, angelicato, è Tommaso Paleologo, ultimo despota di Morea, destinato al trono di Bisanzio dopo i fratelli Giovanni e Costantino, che sembra attendere l’aiuto dell’Occidente per liberare (nel ’38-’39 per difendere) Bisanzio dai turchi. È scalzo perché attende di indossare i calzari purpurei, segno del potere imperiale. La «Flagellazione», dunque, metteva in guardia le Signorie a non commettere nel ’59 gli stessi errori commessi nel Concilio del ’38-’39, che avevano contribuito alla caduta di Costantinopoli. La tavola fu dipinta per un committente Estense vicino a Bessarione, che forse ne venne in possesso.
Ma anche il congresso di Mantova non sortì effetto. Nell’autunno del 1460 Tommaso Paleologo lasciò Mistrà e sbarcò ad Ancona, portando la più importante reliquia cristiana d’Oriente: il cranio di Sant’Andrea. Il mercoledì santo del ’62 la reliquia fu esposta a Roma in un delirio di folla. L’anziano Pio II annunciò di voler guidare la crociata, ma nella primavera del ’64, ad Ancona, i vari Gonzaga, Sforza, Montefeltro arrivarono con poche truppe, e le navi veneziane rimasero semivuote. Infine, nella notte tra il 14 e 15 agosto, Pio II morì.
Partì solo Sigismondo Pandolfo Malatesta, che salpò da Rimini con 13 marrani. In una notte dell’agosto 1465 raggiunse le mura di Mistrà, penetrò in città e riuscì a esumare le ossa del grande Gemisto, cugino di Cleopa Malatesta, e padre del platonismo, al quale Sigismondo si rifaceva. Forse cercò anche la salma di Cleopa. Per secoli nessuno penetrò così all’interno dell’impero ottomano (solo i veneziani presero temporaneamente Atene nel 1687).
Bessarione morì il 17 novembre 1472 a Ravenna «mentre si eclissava la luna», scrive il cronista Sfrantze. La sua sterminata biblioteca, lasciata a Federico da Montefeltro, venne — come da suo volere — ceduta a Venezia nel ’74, ed è ancora custodita nella biblioteca Marciana del Sansovino. Forse una tavola da viaggio, con dipinta una «Flagellazione», restò invece a Urbino.
La Ronchey non è stata la prima ad andare in questa direzione nell’interpretare l’enigmatica tavola. La «Flagellazione» fu notata (diremmo riscoperta) dallo storico dell’arte David Passavant a inizio Ottocento nella sacrestia del Duomo di Urbino. La tradizione diceva che era stata donata da Federico da Montefeltro ed era firmata Petri de Burgo sancti sepulcri. Alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, Charles Lock Eastlake e John Charles Robinson la videro, ma non la acquistarono per le collezioni reali. Anni dopo, il grande conoscitore Giovan Battista Cavalcaselle ne promosse il primo restauro, durante il quale si perse una scritta sul dipinto: «Convenerunt in unum». Questa iscrizione-titolo conferma la chiave dell’enigma: l’iscrizione «si sono adunati insieme» si riferirebbe sia ai convitati sia ai due Concilî (Ferrara e Mantova). In sostanza, l’esaltazione dei contenuti di Mantova (la crociata promossa da Pio II) avveniva in Piero attraverso la rappresentazione di quello di Ferrara. Kennet Clark, negli anni Cinquanta del Novecento, fu il primo ad avviare la lettura ora chiarita — dopo anni di studi — in maniera convincente dalla Ronchey. Interpretazione che trova riscontri nelle precedenti letture della Gouma-Peterson, di Carlo Ginzburg (nel libro Indagine su Piero) e Salvatore Settis.