L’autoritratto te lo dipingo io
C'è qualcosa di strano nel nuovo libro di Silvia Ronchey, "Il guscio della tartaruga" (Nottetempo, pp. 240, e 15,50). Queste "vite più che vere di persone illustri" sono raccontate da una voce che non solo non è quella solita della studiosa: non è lo stile di un autore di oggi.
Il lettore si sente insieme affascinato e respinto, attratto dalle vite di personaggi leggendari della storia e della cultura, e tenuto a distanza da un tono che non riconosce, e che varia di capitolo in capitolo. È come se tra lettore e testo ci fosse uno schermo: e infatti è così. Sul sito dell'editore tre quiz portano alla spiegazione. Se sai chi ha fatto il primo indovinello della letteratura occidentale, quale posto ha ispirato una preghiera a Ernest Renan e una sindrome a Sigmund Freud, e quale dio non è dotto né ignorante - e se non lo sai puoi chiederlo a Google - ecco che si apre il "regesto delle fonti": cioè la bibliografia a cui la Ronchey ha attinto per questo "centone" di citazioni d'autore. Si scopre così che Agostino è raccontato da se stesso (è quasi tutta farina delle "Confessioni"), che Baudelaire, Catullo e Saffo sono un collage di versi, che Dickens deve a Lampedusa almeno quanto Leopardi, Teresa d'Avila e Francis Scott Fitzgerald devono a se stessi. Quasi tutte queste colte e documentatissime vite quindi sono in realtà autobiografie: non ritratti, ma autoritratti per interposta persona.