Ipazia, quella musa di libertà uccisa in nome di Dio
Sono passati 16 secoli da quando Ipazia, filosofa, matematica, astronoma, docente all’Accademia platonica di Alessandria d’Egitto, donna di particolare fascino e bellezza, venne trucidata per le sue idee da una folla di monaci cristiani infervorati dalla convinzione di dover spazzar via tutto ciò che rappresentava l’antica sapienza pagana. Di questo parla “Ipazia, la vera storia” (Rizzoli, sei edizioni in un mese), l’ultimo libro di Silvia Ronchey, docente all’Università di Siena. Perché un libro per raccontare la “vera storia” di Ipazia? «Perché a tanti secoli di distanza, Ipazia rimane una ferita aperta. Per la Chiesa, che pure si è profusa tante volte in scuse per il suo passato, ma non ne ha chieste finora per l’assassinio di un’innocua e pacata intellettuale. Fin dall’epoca bizantina sussiste un senso di colpa dei cristiani, testimoniato dalla creazione della fantomatica Santa Caterina d’Alessandria». Una figura simmetrica e inversa di filosofa cristiana, martirizzata dai pagani... «Che il martirio di Santa Caterina d’Alessandria e la sua stessa esistenza storica fossero un falso viene sostenuto nel Settecento dal dotto Jean Pierre Défois, tanto che la festa in suo onore venne abolita dal Brevario di Parigi. I dubbi furono tali e tanti da indurre Paolo VI nel ’69 ad escludere la santa dal calendario liturgico. Significativamente a reintrodurla ci penserà Papa Benedetto XVI, che secondo me dovrebbe invece valutare la permanenza di Cirillo d’Alessandria tra i santi». L’attuale pontefice lo ha citato più volte e senza biasimo. «Mentre ne meriterebbe eccome. Lo studio delle fonti antiche, anche quelle cristiane, rileva inequivocabilmente che fu il mandante dell’omicidio. In tutto il periodo di Bisanzio sarà condannato per Ipazia ma anche per il distacco della chiesa d’Egitto. Solo il papato continuerà a giustificare il suo operato». Un personaggio controverso. «Le sue azioni miravano a un’ingerenza diretta e violenta della gerarchia ecclesiastica nella politica dello Stato: ebrei espulsi; chiese dei novaziani chiuse; prevaricazioni sul prefetto imperiale. La condanna di Cirillo nelle fonti bizantine, contrapposta alla sua difesa nella Roma dei papi, è la cartina al tornasole del dibattito sulla laicità dello Stato». Ipazia è tornata all’attenzione con il film “Agorà” di Amenabar. Lei sembra mettere in dubbio il mito della sua bellezza. «No, ma cerco di spiegare che il suo immenso fascino doveva essere legato a una bellezza interiore, carismatica. In realtà di Ipazia non sappiamo molto, non abbiamo sue opere. Sappiamo per certo che venne trucidata da fanatici cristiani. Fu spogliata nuda e dilaniata con cocci aguzzi. Sappiamo che un filone storiografico — dal pagano Damascio passa per Diderot e Voltaire, e conduce a Gibbon, fino al discusso film di Amenabar — ha fatto di lei la musa di un atteggiamento illuministico, storicamente forzato, che vede il cristianesimo come fattore di imbarbarimento e caduta dell’impero romano; e l’ascesa della Chiesa come causa del decadere progressivo della politica».
Scontro di idee che si ripropone. «E’ semplicistico considerare lo scontro tra paganesimo e cristianesimo alla base dell’assassinio. Ci fu anche una sorta di “invidia” da parte del giovane e umorale vescovo». In sostanza la morte di Ipazia pare un incidente collaterale. E le sue idee? «La fiaccola di cui Ipazia è stata portatrice non si è spenta. La filosofia di Alessandria d’Egitto è arrivata attraverso Bisanzio e Gemisto Pletone fino al nostro umanesimo, poi all’illuminismo ed alle altre correnti di idee che hanno spezzato l’omertà della Chiesa cattolica e fatto di Ipazia simbolo della libertà di pensiero».