S. Ronchey, Teodora e i visionari, in J.-M. Carrié e R. Lizzi Testa (a cura di), “Humana sapit”. Etudes d'antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini (“Bibliothèque de l’antiquité tardive” 3), prefazione di P. Brown, Turnhout, Brepols, 2002, pp. 445-453
La pièce Théodora di Victorien Sardou, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1884, si colloca in una temperie di crescente interesse per Bisanzio da parte della cultura francese e a sua volta suscita nuova attenzione sulla figura dell'imperatrice consorte di Giustiniano. Se è certo il debito di Sardou nei confronti non solo e non tanto di Gustave-Léon Schlumberger, ma anche e soprattutto di un misconosciuto e pionieristico cultore della storia bizantina quale fu Augustin Marrast, la cui figura viene qui messa in luce e il cui ruolo nella storia degli studi bizantini viene qui riscoperto, il successo della pièce si deve soprattutto a Sarah Bernhardt, icona della Femme Fatale di fine secolo. La sua interpretazione di Teodora ne riattualizza la figura e fa conoscere Bisanzio all'opinione pubblica occidentale, destando ammirazione (nel giovane Freud) o sdegno (in Charles Diehl). Il perbenismo moralizzatore di Diehl, venerato padre fondatore della bizantinistica francese, correggerà e censurerà l'immagine di Teodora creata dalla Bernhardt e da Sardou. I termini sessuofobici e moralistici adottati da Diehl nella querelle sorta con il commediografo sono all’origine dell’immagine stereotipa che di Bisanzio si formerà il Novecento: un regno vacuo e decadente di intrighi femminili o effeminati.
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http://www.sarahbernhardt.com/ (sito ufficiale dedicato a Sarah Bernhardt)
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